domenica 30 agosto 2015

Echi di guerra grande tra i ghiacciai



“Ci stipavano in 40 dentro una baracchetta che poteva tenerne 15”. Letta con un minimo di attenzione una frase del genere non può non impressionarti, e poco importa se si riferisce a soldati, rifugiati, carcerati o soldati.

Se però poco dopo averla letta hai la possibilità di vedere di persona quella baracchetta, l'impressione sferza lo stomaco. Specie se questa è scavata nella roccia, circondata da ghiacciai e affacciata su un dirupo esteso per migliaia di metri.




La baracchetta è uno dei 'ricoveri' in cui tra il 1915 e il 1918 malcapitati italiani e austriaci tentavano invano di scampare al gelo, al vento, agli spari nemici ed al terrore. La roccia è quella di Punta Serauta, 2900 metri; il ghiacciaio quello della Marmolada, oggi esteso per alcune centinaia di metri sotto quota 3100, ma un secolo fa sicuramente ben più ampio e spesso, anche d'estate. Il dirupo e' quello a cui si espone chiunque voglia compiere di persona (“a proprio rischio e pericolo” come recita un apposito cartello) il percorso che si abbarbica sulla dolomite verso quella ed altre baracchette, le postazioni di tiro, l'infermeria, il comando di reparto.





La frase, quella frase, e' una delle tante carpite alle memorie in cui quegli uomini si aggrappavano nei loro giorni del nulla. E riprodotta in bella vista nel nuovo Museo della Grande Guerra, recentissimo parto di un'operazione che sembra ben sposare marketing territoriale e documentazione storica. Lo alloggia il piano basso nella stazione 2 della funivia che da Malga Ciapela conduce fino a Punta Rocca, oggi il punto più elevato raggiungibile da comuni mortali in queste irripetibile contesto montano. Un impianto che ora beneficia di una componente aggiuntiva per lavorare a pieno regime anche d'estate, presentata al pubblico come gratuita per precisa strategia incentivante. Entrare al museo infatti non costa un euro a nessuno, fatto salvo che per arrivarci chiunque deve pagarne almeno 21 di funivia (riduzioni eccettuate).

Cosa mostra quindi, questo neo-museo della Grande Guerra? Tutto ciò che avvenne in quei terribili anni? No. Certo, non mancano due pareti di ricostruzione del contesto, e delle motivazioni che portarono l'Italia e le altre nazioni ad incrociare le armi; ma il vero cuore dell'esposizione è ciò che di tremendo avvenne sulla Marmolada, ovvero su quelle rocce che ti par di toccare guardando fuori dalle vetrate del percorso.











Vedi il percorso che gli austriaci scavarono nel ghiaccio per scampare al gelo. Le improbabili soluzioni per riparare viso, mani e piedi. Siringoni e velleitari medicamenti. Mozziconi di carte da gioco, di foto e di diari. Il sussulto d'eroismo che colpì gli italiani qui appostati nei giorni che seguirono a Caporetto. Vedi pistole, bombe a mano, fucili e quant'altro fu usato tra Punta Rocca e la Serauta, in quella che fu un'assurda quanto estenuante guerra di posizione. Reperti restituiti nell'arco di decenni dai ghiacciai sottostanti, complice un clima che in cent'anni è sicuramente cambiato.

Voluto e finanziato tra gli altri dalla società di gestione della funivia, questo museo fa buon ricorso a nuove tecniche espositive ed alla tecnologia: per vedere e ascoltare spezzoni di filmati in tema, per esporre qualche secondo la mano del visitatore a quel gelo che avvolgeva il corpo tutto dei soldati distaccati lassù.


 

L'effetto più 'speciale', in realtà, sono proprio quei finestroni che passo dopo passo ti ricordano che tutto ciò è avvenuto là fuori, in quella meraviglia della natura trasformata in girone infernale per uomini in divisa.  E se vuoi chiudere il cerchio, finita la visita esci fuori e vai fisicamente in quegli orridi anfratti dove l'esistenza di quegli uomini si annientò giorno dopo giorno, quando non tutto d'un tratto per mano del nemico. Sali tra mozziconi di roccia vanamente convertiti in scalini, scorri la mano sul cavo passante posato a parete che presto diventa l'unica misura di sicurezza, se continui nel cammino. Entri nei ricoveri, nell'infermeria, scruti il magazzino. Segui il flusso di visitatori che puntano verso un roccia più alta, illusoria vetta per il turista non alpinista. Continui a camminare, poi senti la tua scarpa inadatta scivolare sulla roccia. Ti capita una, due, tre volte. Una quarta più importante, ora che il camminamento si è fatto davvero irto e stretto. Guardi sotto: a valle sotto il tuo piede ci sono duemila metri di vuoto. Ti senti a un passo dal niente, precario per un attimo come  qui lo furono per anni, un secolo fa. Ti sovviene Ungaretti, realizzi che non è il caso di andare oltre. E torni indietro.




2/4 - segue

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